La terra implica in se stessa il valore d'orizzonte, confine e cesura ma insieme ragion d'essere dello stare e del decidersi della forma, della sua vocazione alla verticalità, alla continuità e alla frattura significativa, all'impuro e a un valore alto d'intima geometria. Di opera in opera Bresciani, in complicità amorevole, lascia che la terra si declini assettandosi ben oltre la filigrana del naturale e si nutra d'umori che son già simbolo, trascorrimento a una dimensione che, pur fisicissimamente radicata, riverberi processi di pensiero e flussi affettivi. Per questo egli sceglie anche di sottrarre queste opere all'aspettativa pienamente scultorea che se ne potrebbe avere, riportandole a una dimensione di rilievo che implica coerentemente anche la suggestione – per convenzione e, per più d'un aspetto, d'apparenza – del pittorico. Anche il colorire è coinvolto in questo processo, dunque: ma è, la sua, matière couleur, sostanza e non tegumento illusionistico, congenere e non altra rispetto alle superfici su cui si stende. Bresciani agisce dunque in un ambito di contaminazione consapevole tra retaggi di codice – la ceramica, lo scultoreo, il pittorico – di tutti consapevole ma di nessuno adepto e men che meno sacerdote. Non s'avverte, in queste opere, il retrogusto della liturgia fabrile, l'offerta all'apprezzamento estetico. Son lavori, i suoi, che nascono nel lungo, concentrato, intenso, a volte digrignante ma mai fittizio, tempo d'anima dello studio: e nei suoi silenzi. Ed è un tempo tutto introverso, esclusivo, di pienezza interrogativa di sé. Sono opere che Bresciani non esibisce all'ammirazione. Altro è il suo orgoglio. Egli le pone tra se stesso e lo spettatore come un segnale e un invito pudico. E chiede di guardarle, davvero guardarle.